Una domanda di Gesù nella sua passione:

“Perché mi hai abbandonato?” (Mt 27, 46)

 

É questa una parola che esprime bene l’intensità del dolore di Gesù, è un grido strappato dalla crudeltà del supplizio: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”.

Questa parola emerge da un clima di odio esasperato.

L’inchiodamento alla croce, i vestiti prima strappati dal suo corpo e poi divisi tra i soldati, e poi le insinuazioni dei presenti, le ironie beffarde dei Capi spirituali, le provocazioni dei due crocifissi con lui.

Gesù è in croce da quasi tre ore. Si è vicini all’ora nona.

Chi lo guarda, pensa: “Vedi che Dio non fa niente per lui!

Noi abbiamo deciso giusto. Dio benedice noi. Lui è maledetto. Dio lo ha scartato”.

In questo momento fiorisce, con fatica estrema, la sua domanda:

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.

Povero Gesù!

Condannato dai capi del popolo, in nome della religione, ritenuto sedizioso, bestemmiatore. Odiato dalla folla. Consegnato agli stranieri occupanti.

Assimilato ai criminali. Tradito da un discepolo. Rinnegato da un altro. Abbandonato da tutti gli altri meno uno.

Povero d’amici, diceva S. Angela da Foligno.

In questo momento di totale solitudine; con un peso d’angoscia indescrivibile, temendo una prova eccessiva e vedendo le sue forze estinguersi, grida: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”.

Perché questo grido?

Si potrebbe concludere: “Questo disperato non può essere il Messia”.

Come può uno come lui, avvinghiato dall’odio e dal dolore, essere il Messia che libera?

Uno come lui con questa parola dà argomenti a chi nega la sua divinità.

Invece questa parola se per qualcuno è parola di scandalo, per chi ha fede è parola adorabile.

Questa parola ci fa vedere a qual grado di abbassamento è giunto Gesù, che ha rinunciato a tutti i privilegi divini.

Nell’incarnazione, l’Onnipotente diventa debolezza.

La Parola infinita e creatrice diventa bimbo balbuziente.

 

Gesù è un Dio che soffre con me e per me, non un Dio lontano, inaccessibile.

Ecco il mistero:

Colui per mezzo del quale e per il quale tutto è stato creato, questo Gesù sulla croce soffre così atrocemente fino ad esclamare: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.

In lui simultaneamente beatitudine infinita e dolore indicibile, perché è Dio e uomo.

I raggi della divinità si proiettano sul suo dolore.

Sono raggi che santificano il dolore, ma non lo tolgono.

Aveva detto: “La mia anima è triste fino alla morte!”

Qui dice: ““Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”.

Davanti al mistero si tace e si adora.

Gesù è il Figlio beneamato, non è un peccatore, ma si è fatto peccato.

Gesù si è identificato col nostro peccato, non lo ha evitato.

Può rivolgersi al Padre con queste sue parole.

Anticipa le nostre implorazioni, le vive lui per primo:

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido” (Salmo 22(21) 1,)

E con noi e a nome nostro dice al Padre di non abbandonarci. Mai.

“Gesù mio Signore, tu hai già vissuto in anticipo

questa mia sofferenza d’oggi.

E se mi limito a guardare me, mi affliggo.

Ma se guardo Te, mi consolo perché

tu sei malato d’amore per me”.

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