Una domanda di Gesù nel tempo della passione

 

Sono Giuda.

Sono sempre stato l’ultimo. Guarda gli elenchi degli Apostoli, guardali bene.

Prima di tutto gli altri poi io. Io non so come sia successo.

Dapprima avevo un po’ di gelosia per Giovanni sempre vicino a Gesù.

Poi in quel giorno in cui Gesù ha detto a Pietro: “Tu sei Pietro e su questa pietra costruirò la mia Chiesa” mi dicevo: “Perché non potrei essere io?

Beato te, Simone” ha detto. A me mai.

Ma forse perché Gesù leggeva nei miei pensieri e sapeva tutto di me.

Come poteva fidarsi? Però io non stavo bene. E non ne parlavo.

Ma perché mai non sono andato da Gesù a dirgli con calma quello che pensavo?

No. Tenevo tutto dentro di me e il malessere cresceva.

E poi quel giorno là in cui Giacomo e Giovanni volevano i primi posti per loro, uno a destra e uno a sinistra di Gesù quando sarebbe stato il Messia vincitore, come ho goduto dentro quando Gesù disse loro: “Non sapete quello che chiedete”.

Ho pensato: “Vi sta bene. Tenetevela.” Ma a dire il vero anch’io ci avevo fatto un pensierino. Lo stesso pensierino.

E quando Pietro si è sentito chiamare “Satana”, proprio da Gesù, proprio da lui che lo aveva scelto per essere il primo sopra tutti. Satana l’ha chiamato! Che umiliazione.

Ben gli sta a quel pescatore da strapazzo che, non solo una volta, era tornato a riva con la barca vuota. Senza pesci.

Lui Pietro che si dava tante arie di conoscere il lago come nessun altro. Lui che diceva di saper distinguere tutte le qualità di pesci. Satana è stato chiamato. “Mettiti dietro di Me”, gli ha detto Gesù. Che soddisfazione ho provato quel momento.

Una cosa non ho capito mai, neppure adesso.

Avevano detto: “Il vostro Maestro non paga le tasse del Tempio come fan tutti?”. Allora mi aspettavo che Gesù dicesse a me: “Giuda, paga tu che sei il cassiere della Comunità”. No. Proprio no. Chiama Pietro. Ancora lui. Sempre lui. Gli dice: “Va’ al lago, e pesca con le mani un pesce. Guarda in bocca e estrarrai la moneta per pagare le tasse per me e per te”. Io stavo a vedere. C’è andato. Io me ne ridevo dentro di me.

Pensavo: Che figura sta per fare. Dimmi tu se un pesce viene a galla, apre la bocca e gli fa trovare dentro la moneta d’argento.

Ma io mi trovo in compagnia di pazzi!

E Pietro va, trova un pesce, con delicatezza estrae dalla sua bocca una moneta d’argento, sufficiente per le tasse di due persone, Gesù e Pietro.

Naturalmente, non mi dissi: “Basta, Giuda. Finiscila di pensare male e di stare male”. No. Era più forte di me. Mi ostinavo in questa cecità.

Invece no! Mi viene sempre in mente quella promessa fatta ad alta voce: “Voi avete lasciato tutto per me! Avete un tesoro”.

Dov’è questo tesoro?

Abbiamo dormito per terra, abbiamo mangiato dove capitava. Era tutto quello che riuscivamo ad avere. Dodici bocche come le nostre da sfamare, non era facile.

Avevo così fame un giorno che mangiavo le spighe di grano in un campo che costeggiavamo. Non solo io, ma anche gli altri.

Dov’è il tesoro?                      Dov’è?

Finalmente venne l’occasione: fui accostato da un fariseo, uno di quelli che sono importanti, mi offrì 30 monete d’argento se li avessi aiutati ad arrestarlo.

Non capii più niente. Finalmente un guadagno! Finalmente un guadagno.

Alla fine dissi di sì. Le ebbi quelle monete, luccicavano, vere monete, vero argento. 30!

E li condussi là nel Giardino degli Ulivi.

Perché non si sbagliassero, l’avrei baciato io stesso Gesù.

Quella notte, l’ultima per tutti e due. Accompagnai le guardie e i soldati là. Accostai le mie labbra alla sua guancia. Lo baciai sulla gota sinistra. E mentre mi porgeva anche la destra al bacio, mi fissò con amore, sì con amore, con amore, credetemi.

E mi disse: “Amico, proprio con un bacio tu tradisci il tuo Maestro?

Tu, Giuda, figlio mio, fratello mio, amato mio!

Mi bloccai, tentai di ritirarmi, le sue braccia dolcemente mi trattenevano.

Mi piaceva quel suo gesto. Ma fui subito preso da una ribellione interna.

Credevo che Gesù si sarebbe pentito d’aver scelto me tre anni fa.

Lui mi ripeté: “Amico!”.

E io pensavo: “Ma questo è pazzo. Non capisce più niente”.

Non ero più io a pensare.

No. Qualcun altro era diventato padrone di me. Per colpa mia. Ero arrabbiato con me.

Me ne scappai. Gridavo. Urlavo. Mi maledicevo.

 

 

Andai a scagliare le 30 monete, il tesoro, contro quei disgraziati. Ero già disperato.

Scappai in campagna, solo. Eccomi qui trafelato, fallito, carico di rimorsi insopportabili.

Ma c’è salvezza per me?

 

Dimmelo tu, luna! Ditemelo voi alberi!

Tu albero, che sei qui davanti a me, tu albero così forte con rami così resistenti accogli il mio peso e non lasciarmi cadere.

O forse, forse Lui ha pietà di me: lui che è stato così buono con tutti.

Mi ha chiamato “Amico”. Lui è fedele, forse …

 

Non c’è forse, poco poco s’intende, un po’ di Giuda dentro di me?

 

Non c’è forse, poco poco s’intende, un po’ di Giuda dentro di me?

 

Non c’è forse, poco poco s’intende, un po’ di Giuda dentro di me?

 

 

 

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